Vanessa Mele, La ragazza col cognome nuovo: «Mio padre ha ucciso mamma»

fonte.unione sarda

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  1. ^Maggy65^
     
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    La ragazza col cognome nuovo: «Mio padre ha ucciso mamma»

    Domenica 24 luglio 2011

    Appena compiuti diciott'anni, pochi mesi fa, ha presentato istanza al ministero degli Interni. Voleva cambiare cognome, riprendersi quello della mamma. Sul modulo da compilare, alla voce motivazione ha scritto una frase sola: mio padre ha ucciso mia madre e io non voglio più chiamarmi come lui. Concesso. Il primo regalo gliel'hanno fatto quando ha ritirato il diploma di maturità classica: la liceale Vanessa Cardia ha lasciato il posto a quella nuova, Vanessa Mele. In bilico tra orgoglio e commozione, l'ha mostrato agli zii (Agostino e Lina) che l'hanno cresciuta, ai cugini Edoardo e Federico, che considera fratelli. «Ecco, lo vedete? Da oggi sono un'altra». Nella casa di Mamoiada, dove abita da quand'era bambina, ricorda e sorride spalancando di luce infinita due enormi occhi verdazzurro.
    Nuoro, 3 dicembre 1998. Il forestale Pierpaolo Cardia litiga furiosamente con la moglie, Annamaria. Vanessa, che aveva sei anni, s'era accorta subito che «era un bisticcio peggiore del solito». I genitori hanno rotto da tempo, aspettano l'ufficialità della separazione: lui sta con un'altra; lei - che ha solo trent'anni - sta combattendo una lotta disperata contro un tumore al seno. Il televisore ha il volume al massimo. Vanessa coglie sfumature di voci concitate, grida mescolate alla pubblicità, rumori sordi. Lo sparo no, non rammenta di averlo sentito. Cardia giustizia la moglie con un colpo di pistola in testa, a bruciapelo. Poi prende Vanessa e l'accompagna a casa dei nonni. Lasciata al sicuro la bambina, si consegna ai carabinieri e balbetta una prima versione: sparo imprevedibile nel corso di una colluttazione. Morte accidentale di una moglie, insomma. La cosa regge giusto qualche ora, alla fine crolla. «Ma la vera vittima sono io», spiega in caserma ricostruendo una storia di coppia iniziata male e finita peggio.
    Rito abbreviato: quattordici anni e otto mesi. Nella sentenza d'Appello, i giudici scrivono: ben altra pena avrebbe meritato. La Cassazione conferma. Cardia entra in carcere a Nuoro, poi viene trasferito ad Alghero dove un detenuto lo massacra di botte (sentenza parallela in vigore nelle patrie galere). A metà strada ottiene la semilibertà che oggi ha del tutto conquistato. È un uomo libero. E da uomo libero ripensa a quella figlia che non aveva più visto: le scrive mail tenerissime e intanto avvia la pratica per portarle via la pensione reversibile della donna che ha massacrato.
    Ce la fa, nel suo reddito adesso c'è anche il contributo della moglie uccisa. Vanessa, insieme alla mamma (che faceva l'impiegata) ha perduto dunque anche l'ultimo fragilissimo filo che la legava alla famiglia d'un tempo. Gli avvocati Anna Maria Busia e Francesca Calabrò l'affiancano in una battaglia che, dopo la conquista d'un nuovo cognome, modifichi la legge sulle pensioni con un piccolo comma: gli assassini conclamati, ammesso che si possa dire così, non hanno diritto a godere della pensione delle loro vittime. Dopo un'attesa lunga un anno, la legge è stata approvata avant'ieri.
    E Vanessa? Nel salotto della casa di Mamoiada, mattino torrido e senz'aria, non commenta ma è pronta a dimostrare come una bambina possa trasformarsi in gigante.
    Quando hai capito?
    «Avevo appena sei anni ma sapevo già molto bene che la famiglia stava andando a rotoli. Ricordo la faccia di mia madre un giorno che incrociammo una donna per strada: mamma, la vedi quella signora? È la fidanzata di papà. Chi te l'ha detto? Papà, me l'ha presentata quando tu eri in ospedale».
    Con chi sei cresciuta?
    «Col fratello di mamma e sua moglie. Agli inizi li chiamavo zii. E il loro figlio più piccolo, sentendomi chiamarli zio e zia, ha fatto altrettanto. Un giorno, all'improvviso, m'è venuto di chiamarli babbo e mamma. Non me ne sono mai pentita, gli devo tutto».
    Ce l'hai un bel ricordo dell'infanzia?
    «Uno, sì. Era fine dicembre, avrò avuto tre o quattro anni. Un amico è arrivato vestito da Babbo Natale e abbiamo fatto grande festa. Il resto è muto e senza immagini: ho rimosso tutti i ricordi da zero a sei anni».
    Anche quello di tua madre?
    «L'ho vista poco, francamente. Stava sempre in ospedale a curarsi il cancro. Ero troppo piccola per capire la gravità della situazione».
    Mai pensato alla vendetta?
    «Prima sì, avevo molta rabbia dentro. Un amico carissimo si è anche offerto, ma sono cose che si dicono e si pensano quando si è molto giovani. Non si può scendere allo stesso livello di chi ha ucciso. Mai. Per nessuna ragione».
    Tuo padre te ne ha mai parlato?
    «Mi ha scritto una lettera quand'ero piccola: ti ricordi quando guardavamo insieme Il re Leone? Avevo la sensazione che non si rendesse conto di quello che aveva fatto».
    Riferimenti al delitto?
    «Una volta, di sfuggita. Mi disse che il 50 per cento dell'accaduto era colpa di mia madre».
    Che tipo è tuo padre?
    «È stato bravo, ho trascorso un sacco di momenti belli con lui. Una volta aveva portato a casa una piccola biscia, l'avevo sistemata in un barattolo e le davamo da mangiare insieme. È stato affettuoso, buono, presente».
    In famiglia che hanno detto dell'idea di cambiare cognome?
    «Sulle prime non erano d'accordo: pensaci bene, mi dicevano, non è una decisione da nulla. Ma io, il pallino, ce l'avevo già da adolescente. Volevo diventare Vanessa Mele, abitare in un'altra vita. Appena rientrata dalla Norvegia, dove ho passato un anno con Intercultura, sono tornata alla carica. Il 22 settembre 2010 ho compiuto diciott'anni, il 23 settembre ho fatto domanda in Prefettura».
    E il paese come l'ha presa?, cosa sussurra Mamoiada?
    «Non lo so, non mi capita di parlarne. Ho l'impressione che stiano tutti dalla mia parte. Quando sono andata in Comune a ritirare un estratto di nascita (volevo vedere il nuovo cognome), mi hanno fatto molti complimenti».
    Vivi nella Barbagia più chiusa: consigli e avvertimenti.
    «Nei miei confronti, questa è stata una comunità straordinaria. Certo, qualche invito a farmi giustizia da sola l'ho ricevuto. Non condividevo ma capivo il furore che c'era dietro. Io non voglio essere un'assassina. Ci ho pensato a lungo: cancellato il passato, devo ricominciare».
    Cosa resta del rapporto con tuo padre?

    Questa domanda resta sospesa. Vanessa intreccia le mani sulle gambe, china la testa e lascia che passi un tempo infinito prima di rispondere. Gli attimi di sconforto, improvvise esplosioni di pianto, sono questione d'un battito d'ali. Ogni domanda di questa intervista è uno squarcio che riapre vecchie cicatrici. Vanessa sa dove si sta andando a parare: la sottrazione della “reversibilità”. Non chiede aiuto ai familiari, vuole star sola a dire, a rievocare, a commentare. Il disegno di legge che impedisce agli omicidi di ricevere la pensione delle vittime è stato condiviso da tutti: maggioranza e opposizione, centrodestra e centrosinistra. Ma si è dovuto attendere un'eternità prima che che passasse in Parlamento. L'avvocato Busia racconta che l'iter è stato lungo, tormentato. Il senatore Mariano Delogu ha raccolto tempo fa il suo sos, l'ha fatto viaggiare in commissione al Senato e alla Camera ma solo a un passo dalle ferie si è riusciti a infilarlo nell'ordine del giorno dei lavori. Era una questione di civiltà. Di involontaria barbarie e di civiltà. Davanti al coraggio e alla fermezza d'una ragazzina di diciott'anni, lo Stato aveva il dovere morale di rispondere. Altrimenti i delitti in questione sarebbero stati quasi due.

    Cosa resta del rapporto con tuo padre?
    «Niente. Non resta niente. Lui ha tentato di ricostruire un dialogo o qualcosa del genere ma la cosa è morta subito. A gennaio, quando stavo in Norvegia, mi ha mandato una mail: cara Vanessa, vorrei conoscerti meglio. Il mese successivo, a febbraio, m'ha portato via la pensione di mamma. È stato come ricevere una pugnalata. Non me l'aspettavo, non avrei mai creduto che potesse essere capace di un gesto così».
    Gli hai risposto?
    «L'ho fatto una volta sola. Gli ho scritto: puoi essere cambiato, essere diventato un altro ma io non voglio avere più alcun legame con te. Ho cambiato cognome proprio per questo».
    L'hai più sentito?
    «Ho ricevuto una sua mail ma ho scelto di non rispondere. Non abbiamo più niente da dirci».
    Come lo immagini?
    «Non me lo immagino. L'ultima volta che l'ho visto aveva appena ucciso mamma. Non ho memoria di sue foto sui giornali o in tivù. Andarlo a trovare in carcere? Ci ho pensato, per un po' mi sembrava un'idea giusta ascoltare la storia dalla sua bocca. Poi ho pensato che in fondo non m'interessava e ho rinunciato. Vederlo mi avrebbe fatto molto male. Oggi più che mai. Discorso chiuso».
    Rapporti con parenti di lui?
    «Con i miei cugini, figli dei suoi fratelli, ci troviamo ogni tanto su Facebook. Ma non parliamo mai del delitto. D'altra parte, non ho assistito ai funerali, non vado mai in cimitero a trovare mia madre. Volevo farlo a maggio, per la festa della mamma, ma devo essere sincera: mi è mancato il coraggio».
    Mai discusso del fatto che ti abbia portato via la pensione?
    «Ero in Norvegia quando è successo e questo è stato un bene. Mi hanno telefonato da casa per comunicarmi la notizia. Sono rimasta annichilita, travolta da una rabbia che non riuscivo a controllare. Ho pianto, volevo scaraventare il computer per terra, fracassarlo. Ero disperata all'idea che questo incubo, per un motivo o per l'altro, non dovesse mai finire».
    È stato allora che hai deciso di cancellare definitivamente Vanessa Cardia?
    «Ci pensavo da prima. Ma in quel momento ho giurato a me stessa che non avrei perso un attimo: appena diventata maggiorenne dovevo essere un'altra, per tutti».
    Non vedi più neanche i nonni paterni?
    «Ho pensato di telefonare per informarli della storia del cognome ma poi ho preferito rinunciare. Ho incontrato mia nonna per caso, una mattina in strada. Mi chiedevo: la saluto, non la saluto? Alla fine mi fermo: nonna, come stai? L'ho trovata imbarazzata, a disagio, non vedeva l'ora di andar via. Più tardi ho ragionato sul fatto che anche lei, in fin dei conti, è un ponte di collegamento con mio padre. Quindi ho deciso che non l'avrei mai più rivista».
    In che modo questa storia ha segnato la tua giovinezza?
    «Mi è servita per crescere. Ma sapevo molto bene che non poteva restituirmi quello che cercavo, una vita normale. Per una decina d'anni sono stata in terapia con una psicologa che mi è stata di grande aiuto. Sono passata da una giornata all'altra meccanicamente, come se l'esistenza non mi riguardasse. Poi, pian piano, ho iniziato a percepire che forse era stato tutto un sogno. Buon segnale: stavo iniziando a mettere i ricordi da parte».
    C'è qualcosa che vorresti dire a tuo padre?
    «C'è il nulla fra noi. Non è più mio padre».
    Cos'è la vita oggi per Vanessa?
    «Sulle prime, l'intenzione era quella di partire, scappare. Adesso invece credo di saper fare una scelta più matura: devo riuscire a realizzarmi. Partirò prestissimo per il Galles, voglio laurearmi in Criminologia».
    Obiettivo della laurea?
    «Mi piacerebbe entrare in Polizia».
    Cosa ti è rimasto della Barbagia?
    «Tutto. Questa è casa mia. Sono di Mamoiada e non smetterò mai di esserlo. Sarà una frase banale ma questa è la terra che mi ha accolto e che amo».
    Incondizionatamente?
    «Certo. Compreso un grazie di cuore a Lina e Agostino, che non mi hanno soltanto aiutato a crescere. Mi hanno dato una famiglia che non avevo più e questo non potrò dimenticarlo».
     
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  2. berry340
     
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