MARCO CARTA MAMME FANS


Replying to Il pozzo degli orrori di Manasuddas: ecco il perché di tre ergastoli

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    Il pozzo degli orrori di Manasuddas:
    ecco il perché di tre ergastoli



    Dalla confessione di Mauro Fele, condannato al carcere a vita, al ruolo di Antonella Artu, la supertestimone amante del pentito e che ne aveva raccolto le confidenze. C'è l'anamnesi dei delitti di Manasuddas, l'assassinio di Tiziano Cocco e Pietrina Mastrone, nelle motivazioni della sentenza con cui la Corte d'Assise di Nuoro condannò all'ergastolo gli olianesi Sebastiano Pompita e Mario Deiana.

    È la notte del 27 ottobre 2007. Dalle acque mefitiche della cisterna della caserma di Manasuddas emergono due cadaveri. «La donna era completamente nuda e con i piedi legati, all'altezza delle caviglie, con una cordicella di nylon bianco. Il corpo era segnato da una linea di galleggiamento; la parte sottostante stava saponificando; la parte superiore era sformata. L'uomo, invece, era vestito di tutto punto: jeans, scarpe, un maglione a “V” scuro con delle strisce orizzontali; aveva il volto leggermente tumefatto, qualche rivolo che al momento sembrava sangue. Nient'altro». Sono i corpi di Tiziano Cocco e Pietrina Mastrone, morti ammazzati. Lui era un giovane camionista di Samassi, lei una quarantunenne di Oliena con un'esistenza difficile alle spalle e così viene descritto il loro ritrovamento nelle motivazioni della sentenza della corte d'Assise di Nuoro che ha riconosciuto colpevoli di quegli atroci delitti gli olianesi Sebastiano Pompita e Mario Deiana, entrambi condannati all'ergastolo.

    UN TOMO Cento pagine in cui il presidente della Corte Antonio Luigi Demuro illustra quali fatti e circostanze hanno consentito di arrivare alla prova della responsabilità degli imputati, al termine di un processo “lungo e complesso”. Un nome in particolare ricorre in tutti i fogli: quello di Mauro Giuseppe Fele, il pentito della banda condannato anche lui al carcere a vita (in abbreviato e per il solo delitto Cocco), che con la sua confessione consentì di fare luce sugli omicidi. «È di tutta evidenza - scrive Demuro - il nodo cruciale costituito dall'interrogatorio di Fele». Le sue dichiarazioni vennero cristallizzate il 10 aprile del 2009 in incidente probatorio (quando i tre già da un anno erano accusati degli omicidi), durante il quale puntò l'indice contro Pompita e Deiana, accusandoli di entrambi i delitti. La confessione tardiva diede adito a interrogativi e dubbi sulla sua totale veridicità anche da parte degli inquirenti. Anche se «mai e poi mai - continua il presidente - Fele avrebbe falsamente e calunniosamente accusato i suoi compagni di vita e avventure», perchè «se rivelare il nome di un complice è una grave colpa, lanciare accuse inventate e calunniose è, secondo certi codici comportamentali, il più abominevole dei delitti, per il quale la più grave delle ritorsioni o la più crudele delle vendette è sempre poca cosa». Per il giudice la sua attendibilità è evidente, nonostante i tentativi di ritagliarsi un ruolo secondario nell'omicidio Cocco che tuttavia non inficerebbero le altre dichiarazioni: «Supportate da riscontri oggettivi in modo imponente, insuperabile».

    TESTIMONE CHIAVE Ma il processo per Manasuddas ha vissuto altri momenti importanti, oggetto di appassionate discussioni fra accusa e difesa. La testimonianza di Antonella Artu è stato uno di questi. La superteste che aveva raccolto le confidenze di Mauro Fele (suo amante), poi diventate argomento di telefonate (tutte intercettate) con l'amica Federica Picca, anche lei chiamata in aula a deporre. Il giudice ritaglia alla Artu un ruolo importante soprattutto riguardo all'individuazione dei responsabili dell'omicidio di Pietrina Mastrone, in particolare alle accuse contro Mario Deiana. L'episodio riportato nelle motivazioni è l'episodio degli “incappucciati” del pomeriggio del 24 ottobre 2007, quando la ragazza venne fatta salire in auto da Fele e Pompita e condotta in un luogo isolato, dove dal buio spuntarono due persone col volto coperto che salirono a bordo. Pompita la minacciò dicendole “occhio che fai glu glu”, perchè secondo loro parlava troppo in giro. Lei raccontò di aver riconosciuto uno degli incappucciati in Mario Deiana e secondo il giudice questo «è certo». «Il riferimento è così esplicito che la Artu lo coglie al volo e ricorda in udienza che il glu glu concerneva il pozzo di Manasuddas».

    FRANCESCO CABRAS

    Venerdì 05 novembre 2010 07.37

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